INCONTRI DI PIAZZA ANNI SESSANTA CORATO

      Negli anni del dopoquerra la gente soleva fermarsi per strada a chiacchierare ad alta voce, incurante dei passanti curiosi. La formula di rito unisex era questa: 
-Neh, chi si vede! Come state?- Bene, grazie e voi?- Non c’è male, grazziaddio.   
       Le piazze erano per le donne i luoghi prescelti per lo scambio di notizie fresche e di pettegolezzi. Quelle del mattino erano le ore migliori per farlo. All’epoca i bar erano quasi preclusi alle signore, salvo che in caso di improvvisi malori, deliqui, impreviste doglie del parto. 
      Il mercato del sabato era il posto e l'occasione migliori per i convegni femminili. In mezzo a bancarelle di abiti usati e a venditori urlanti, venivano sciorinate ad alta voce storie di nascite e di morti, amarezze e gioie, velenose insinuazioni, delicate confidenze. Durante la settimana, invece, le chiacchiere si facevano ovunque, sempre di buonora, meglio se tra policromi banchi di frutta e di verdura.
- Cummà, ditemi, come stanno papà e mammà? A vostra sorella Marietta l’ho vista dopo tanto tempo l’altro giorno al pizzicagnolo. Madonna mia, come si è fatta grossa!
- Si capisce. Ha fatto sei figli in sei anni con quel disgraziato di Petruccio; lui pensa sempre a quella cooosa e certo che lei si doveva squascianare. Va be' bocca mia, abbasta! 
- A voi vi ho vista alla Messa grande della Chiesa Matrice, ma andavo di fretta e la predica di Don zizì Ferrara, l'arciprete che tiene la fissazione dei comunisti, non finiva mai. Avevo lasciato il ragù sulla cucina a fuoco lento lento. Figuratevi quante me ne diceva marit'm se si attaccava sotto! Lui ci tiene: se non gli faccio gli strascinati col ragù tutte le domeniche, chi se lo sente? 
- A proposito, cummà Carmè, che vi mangiate oggi? Tanto per darmi un'idea. Qua vogliono sempre maccheroni. Come si fa? Ai tempi miei erano fave toste mattina e sera. La carne? Solamende alla domenica, se pure. 
- Cummà, non lo dite a nessuno, ma oggi a casa mia è penitenza: per la festa patronale, con la scusa che sono stati qua due settimane i cugini miei emigrati alla Francia, a Grenoble, ci siamo abbuffati pure noi: pane fatto in casa nel forno a legna e condito coi pomodori appesi e l’olio bbuono, l’aglio e la reg'n, tacche di castrato sulla carbonella e brasciol di carne d' cavadd al ragù grosse come un pugno e imbottite di aglio, prezzemolo, formaggio e lardo, tian d'st'nden'r accam vacil. Eguali eguali a quelle che fa mammà quando tatà sta male col cuore e non si sente bene. Così, lui mangia r' brasciol, n' picc d' st'nden'r  e riprende colore e gli viene il fiato. Neh, dopo due settimane di pranzi e cene, ho detto basta! Oggi, cicorie di campagna sfritte con aglio e alici sotto sale, quelle di zia Maria, la vedova - vi ricordate? -, che tiene il figlio vacandino.  E se le cicorie ancora non abbastano, teniamo un fuscello di ricottella di pecora, bella tremante tremante e un cantro di fic r'inui ammaturi e saporiti. Sì, lo so: quelli si devono mangiare la mattina presto, col fresco, sennò fanno il tappo. E non sia mai insieme all’uva! Madonna mia…, cemento armato.
- Neh, cummà, mi avete dato un’idea. Prima ci facciamo una tiana di cime di rape stufate; poi ci finiamo la pignata grande di trippe al sugo avanzate da ieri. La trippa è a buon mercato, lo sapete pure voi. Noi ce le mangiamo con i canarizzetti. Ma però, che faticaccia a levare la sporchizia, a lavarla bene bene, a tagliarla fina fina. Deve cucinare ore e ore nella salza di pomodoro di casa con un bel soffritto di accio, cipolle, pastinache, una scorza di formaggio, ma piano piano sul fuoco piccolo del pipigas, a pippiare almeno tre ore, pli, pli, pli… All'ultimo metto anche due patane tagliate a pezzettini. E sempre a girare, che se si attacca sotto prende di fumo e si può gettare nel cesso, con rispetto parlando. Neppure u cacciun la vol'. Che ne dite, la posso fare io tutta questa fatica? 
- Cummà ho capito che neppure voi fate la cura per dimagrire. 
- Però tenete proprio ragione. I maschi non ti aiutano: ci piace tutte cose, ma si vergognano a cucinare. Minguccio mio? Nooo…, tiene la panza e non arriva a fare il nodo alle fettucce del sinale. Beh, commà Antonietta, mo vi devo salutare. Grazie e scusate lo sfogo. 
- Non c'è dicché? Ci vediamo, magari no a ogni morte di Papa. Neppure gli uomini si sottraevano al rituale della “chiacchiera”, sebbene meno disposti al pettegolezzo, considerato con disprezzo una rrobba da fem'n. Fino a una certa ora della sera si incontravano per lo stradone contadini e braccianti. Tornati a casa dal lavoro dei campi - chi a piedi, chi in sella a una vecchia bicicletta e chi col traìno -, mettevano via gli attrezzi, davano la biada al mulo, si lavavano alla bell’e meglio, dato che un vero bagno in tinozza lo si faceva una volta alla settimana, il sabato, e si avviavano a piedi verso il centro del paese, vestiti di tutto punto e con tanto di coppola calata. Andavano a permettere, ad accettare una proposta di lavoro temporaneo e a promettere di farlo. Sostavano in capannelli della speranza in attesa di ingaggi per i giorni seguenti, mentre alcuni intermediari - procacciatori di braccia forti e mani capaci, esperte, volenterose e a buon mercato - si aggiravano in mezzo a loro a sigillare inderogabili accordi. Si trattenevano a confabulare sotto il palazzo La Monica nei pressi del tabacchino all'angolo e davanti al negozio di Galise, oppure vicino alla fermata delle automobili a noleggio, a fianco del Municipio. Qualcuno si spingeva fino alla vicina piazzetta del Teatro Comunale, dove c'era il telefono pubblico, oppure davanti alla chiesa dell'Incoronata e alla fermata degli autobus della "Tarantini". 
         I mondi dei padroni e quelli dei lavoratori si incontravano così, per interposta persona, nella luce fioca dei lampioni, a giurare reciproci impegni con una stretta di mano. 

Raro vedere quelle coppole al bar: il caffè costava e non faceva dormire. Il vino, poi, men che meno: quello lo bevevano gli 'mbriaconi alla taverna. Fermi ai lati del corso lungo il ciarliero fiume del passeggio cittadino, gli uomini incoppolati discutevano tra di loro di fatica, di paghe misere, di progetti per emigrare in Francia o in Belgio, per andare a lavorare come bestie in miniera.
- Cumpà Peppì, ieri è arrivato il pacco di zia Annina dall’America. Dentro sta tutto, vestiti usati come nuovi per noi, giocattoli per i bambini… A Filomena una camicetta di seta e a me una cravatta a fiori. All’America stanno bbuono.
- Beato a voi, cumpà Luiggi. Un fratello di mammà stava all’ Argentina e faceva i soldi. Poi si è rovinato con le femmine. Chi lo ha visto mai un regalo? Graziaddio, a noi il pezzo di pane non ci manca e neppure la pasta col ragù di carne di cavallo almeno la domenica; un piatto di fave sta sempre, le galline fanno le uova e se non ne fanno, beh… ce le mangiamo a brodo, le galline. Il venerdì viene pure il pesciaiuolo: alici a buon mercato, quasi di giornata. Addolorata le fa fuoco sopra e fuoco sotto dentro al fracassè, mollicate e arraganate. Che altro vogliamo? L’America si stesse dove sta. 

Gli argomenti riguardavano sempre la sopravvivenza, il pane quotidiano. Così tra una confidenza a occhi bassi, una sommessa imprecazione e una fumata di sigarette Alfa si chiudeva un’altra giornata di fatiche e di speranze per quelle facce rassegnate e cotte dal sole.                 Verso le due ore di notte il corso era ancora affollato di giovani decisi a consumarne le chianche di basalto, andando su e giù. Drappelli compatti di ragazze ancora acerbe o già da marito spendevano l’ultimo passeggio scortate da mamme e zie occhiute, attentissime a raffiche di fin troppo eloquenti e insistenti sguardi maschili e alle sfuggenti occhiate oblique e complici delle giovani: gli unici messaggi consentiti ai due sessi, lampi saettanti nell’atmosfera notturna come minute, infocate meteore cariche di proposte, promesse, o dispettosi e dolenti dinieghi. 
        Più tardi, ognuno si ritirava puntuale a casa propria ai rintocchi delle due ore di notte, lasciando il posto ai maschi nottambuli abituali che, in lentoe strascicato movimento, sottobraccio si parlavano di tutto, in particolare di giochi di carte, di sesso e di avventure, vere o inventate che fossero. 

Grazie a loro, la notte si spogliava delle spigolose e annoiate figure dei contadini, delle loro monotone recriminazioni e dell’immancabile struscio serale per consumarsi tra fantasiosi racconti di vittoriose battaglie d’amore con donne altrui dal fascino irresistibile, di interminabili baci mai dati, di tradimenti, di letti sfatti dalla passione e di penose memorie di mediocri case di piacere. 

A quell’ora tarda la rara gente ancora ostinatamente a spasso, non avvezza a consumare aperitivi e digestivi, si ubriacava ugualmente, senza toccare alcolici, di vanagloriose bugie e di sogni ad occhi aperti. Così, ai pochi bar del centro, sforniti di sogni e di favole, non restava che chiudere.

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