Ambulatorio

 AMBULATORIO

      Le mie pazienti vanno in genere dai sessanta anni in su. 

     Abbastanza frequenti le cinquantenni. Rare, ma non introvabili le quarantenni. 

      Le trentenni sono sane e sportive, ma ogni tanto si fanno male, correndo o sciando. 

        Qualche giovanissima: chi con la scoliosi, chi col piede piatto o lo strabismo delle rotule.

        Visito sempre alla presenza di una delle mie collaboratrici e di qualche parente, mai da solo.
E non solamente le donne, anche quelli di genere maschile.

    Tutte (o quasi) le frequentatrici del mio ambulatorio mi vogliono bene, soprattutto le meno giovani. 
     Le altre sono discrete ed educate, ma talvolta non nascondono una sorta di simpatia o qualcosa di più, anche se non potrebbero sperare granché da un ottantenne.
 
         C'è chi assume atteggiamenti sottilmente provocatori, anche esibendo costosa biancheria intima ampiamente rivelatrice di un'anatomia affidata alle minuziose e sapienti attenzioni di buone estetiste.
 
           Anche se dietro certi inutili disvelamenti si celassero desideri inconfessati e voglie represse - come spesso accade nel mio lavoro -, uno come me non potrebbe mai soddisfarli, neppure per corrispondenza.

          Indugiano le più ardite prima di salutarmi, talvolta mi dicono che ho
l'aspetto stanco, mi stringono con calore la mano e non hanno il coraggio di confessarsi in tutto fiduciose verso un medico che sta ad ascoltarle con impagabile pazienza.

        Mi raccomandano però di non ammalarmi, di continuare a lavorare.
         Qualcuna promette che pregherà per me.
        C'è anche la paziente che mi regala dolci fatti in casa, con la speranza di qualche sconto futuro.

     Ogni tanto subisco abbracci e baci sulle guance, malgrado la mascherina  FFP2 e le regole del distanziamento in epoca di pandemia. 
Ne diffido: quelle che lo fanno mi dicono che ripasseranno a pagare la visita, ma le sto ancora spettando.

       Le anziane più disinibite, pur nella difficoltà della conversazione, a 
causa di apparecchi acustici dimenticati a casa o mal funzionanti, mi vedono quasi come un amico, forse ricordo loro ombre del passato; 
       Qualcuna mi tratta come un figlio, almeno fino a quando non rivelo la mia età.
       Una novantenne dall'occhio vispo e l'andatura claudicante in epoca 
prepandemica mi ha chiesto con malcelata ironia se doveva proprio spogliarsi, visto che non era più una ventenne.
Testuali parole.
      Non ho raccolto la provocazione. Invece, ho regalato qualche carezza - filiali 
o fraterne, non so - al suo viso rugoso e segnato dagli anni e da qualche dispiacere di troppo. 
    Lo sguardo dell'arzilla è rimasto attento, luminoso, quasi 
ammiccante, pieno di malizia, sino alla fine della visita.

         La signora mi ha ringraziato e prima di andarsene, caracollando appoggiata al suo bastone, mi ha confidato con un sorriso storto che nessuno le aveva toccato le tette così abilmente come avevo fatto io, anche se a suo parere non ce n'era bisogno.
        Ho finto di non capire, ma ho ricambiato con un sorriso ebete. Non le ho spiegato che cercavo un tumore, che per sua fortuna non ho trovato.


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